Questo testo di François Zourabichvili accetta con coraggio teoretico la sfida posta dal divenire, di cui troppo spesso la filosofia ha neutralizzato la carica altamente problematica e concettualmente indomabile.
Assumere le provocazioni del divenire in tutte le loro serie conseguenze comporta, per Zourabichvili, fare i conti con un concetto, non nuovo ma ben poco frequentato nella nostra tradizione di pensiero, di contro spesso associato a saperi morti o marginali come l’alchimia e la magia: il concetto di “trasformazione”.
Non è questa l’unica originalità di questo testo bello e difficile, qui presentato nella rigorosa traduzione di Franco Bassani, perché il filosofo che Zourabichvili elegge a propria guida nella sua costruzione dei lineamenti di una filosofia della trasformazione è Baruch Spinoza per Hegel filosofo della staticità della Sostanza. Zourabichvili, di contro, sconfessa totalmente la vulgata di uno Spinoza parmenideo per mostrare di contro, con un lavoro testuale di grande cura e profondità, la radicalità con cui Spinoza ha pensato il divenire, accettando di esso l’esito forse più sconcertante: la trasformazione, per l’appunto.
Affrontare con rigore il pensiero della trasformazione in Spinoza vuol dire confrontarsi con una nozione di “forma” del tutto inedita che diviene il cuore cruciale dell’intera indagine.
Non solo, tale indagine conduce Zourabichvili a una domanda inedita: se la Substantia, Deus sive natura si esprime, tra gli infiniti attributi, nell’ estensione e nel pensiero, allora oltre ad una fisica dei corpi Spinoza ci lascia intendere che sussista una fisica del pensiero, una “fisica cogitativa generale”, che contempli le relazioni, i concatenamenti e le trasformazioni del pensiero. Dunque la materia che si trasforma non è unica, non è solo corpo/estensione, a cui tutto deve essere ricondotto (come insegna il materialismo volgare): le materie della physis sono molteplici e una di queste è il pensiero.
La fisica cogitativa qui elaborata ha una finalità etica: deve servire a discernere tra la potenza creativa dell’intelletto e un uso malsano dell’immaginazione che dà presenza attuale alla finzione.
Zourabichvili ci rivela a tale proposito uno Spinoza che si fa nietzscheanamente ”medico della cultura” e che richiede ad ognuno di abbandonare lo stato di “sonnambulismo diurno” che contrassegna per lo più l’umana esistenza e di trasformarci in “vigilambuli” in modo da abbandonare la confusione e l’oscurità del mondo umbratile del sogno nel quale siamo immersi mentre siamo ad occhi aperti.