“Darsi le parole” ha reso possibile cambiare luogo, togliendo confini, uscire da quella dimora forzata, fatta di autoesclusione quale unica identità possibile, in un sociale che ti esclude a sua volta e in cui darsi per malati rimane l’unico modo per darsi. In qualche modo.
È il bisogno di qualcosa di vero, dunque, a condurci al teatro come alla scrittura: raccontare e rappresentare, sottraendo il mondo dall’essere un indistinto proliferare di fatti ed eventi muti, ce lo restituiscono nello stupore di una rivelazione continua.